Pagine

9.6.19

Self-hybridation


Orlan, David Bowie, David Cronenberg, James J. Ballard, Donna Haraway, Edgar Morin: organico e inorganico si toccano ancora.
La contamin/azione è alla base di tutte quelle arti che risentono dell'influenza e dell'interdipendenza di più mezzi espressivi. In Crash (1996), ad esempio, film di David Cronenberg, il regista sperimenta la contaminazione tra il corpo e la macchina. Il modo in cui i personaggi risolvono la propria attrazione nei confronti della tecnologia è quello della trasformazione fisica, da cui nasce una nuova "carne". Come le automobili si urtano e si ammaccano quando vengono a contatto, così accade al corpo dei protagonisti. Questo è il solo meccanismo di comunicazione possibile tra i due mondi. Tutti i personaggi di Crash sono alla spasmodica ricerca di questa interazione, attraverso l'incontro/scontro, provocando così un impatto, una reazione, ma soprattutto la trasformazione.

Io cyborg
Come suggerisce la critica americana Donna Haraway, è proprio il cyborg, la macchina, a spingerci di ragionare in maniera diversa. Il cyborg rigetta una comunità costruita sul modello della famiglia organica. Il cyborg non riconoscerebbe il Paradiso, non è nato dal fango e non può ritornare polvere. Essi diffidano. Nella cultura scientifica americana della fine del Novecento, il confine tra umano e animale è stato ripetutamente abbattuto. Il linguaggio, l'uso di strumenti, il comportamento sociale, gli eventi, non stabiliscono più in modo convincente la separazione tra umano e animale. E parecchi non sentono più il bisogno di questa separazione. Anzi, aumenta il piacere del legame tra l'umano e altre creature viventi. I movimenti per i diritti degli animali sono un lucido riconoscimento della possibilità di sanare questo dualismo. Negli ultimi due secoli, si è ridotto il confine tra l'umano e 1'animale, tra le persone dalle altre creature viventi, il cyborg rappresenta, in modo inquietante, e allo stesso tempo piacevole, un importante connubio.

Altra separazione che non regge il confronto è quella tra organismo, animale oppure umano, e macchina. Ma, in principio le macchine non si muovevano né si progettavano da sole, non erano mica autonome. Le macchine di questo fine secolo hanno reso totalmente ambigua la differenza tra naturale e artificiale, mente e corpo, e molte altre distinzioni che si applicavano a organismi e macchine.

Nella combinazione e nella contaminazione tra l'umano e la macchina, tra l'estensione di noi stessi e la separazione desiderata dalla macchina, nel miscuglio tra organico ed inorganico, la propria autonomia in quanto identità, viene messa in discussione. Entrando in quella zona di confine tra pericolo e salvezza. Colma dell'abiezione. Mescolanza di vita e di morte. Abietto è soprattutto quello che turba un'identità, un sistema, un ordine. Colui che non rispetta i limiti. Secondo quest'ottica è l'intera filmografia di Cronenberg a presentarsi come un qualcosa di abietto. Un corpus ambiguo, intermedio, misto, dove viene negata la netta separazione tra copro sano, o corpo malato, tra naturale o artificiale, paesaggio esterno e interno, corpo e identità.

Nel cinema di Cronenberg, la "carne" resa fluida ed orribile, si libera di tutte quelle frontiere dettate dalle regole. Il suo scopo non è quello di allontanarsi dall'aberrazione fisica e mentale, piuttosto di addentrarvisi, esplorando le innumerevoli mutazioni che comporta questo meccanismo. L'immagine che ne deriva ci turba, ma soprattutto ci riguarda, proprio perché corpo e mente si fondono sullo stesso piano, andando in contraddizione con il concetto fondante del pensiero occidentale: il dualismo. Quell'eterna lotta tra potere e controllo, insomma. Soprattutto del controllo della mente sul corpo. Il dominio del controllo razionale è strettamente connesso allo sguardo. Gli occhi, secondo Haraway, sono cannibali, onnivori ed onniscienti che tendono alla sorveglianza totale della quotidianità, all'atto della verifica e del controllo razionale. Gli occhi, però, sono anche la parte del corpo che viene associata alla visione, in quanto immaginazione, illusione ottica. Lo sguardo di Cronenberg si fa carico di questa dualità della visione, esplorandone appunto la fobia che ne deriva.
La fobia di essere visto o di vedere?

Occhi cannibali
Come direbbe William Burroughs, la macchina da presa è come un occhio di un rapace in cerca della propria preda. Un occhio cannibale, per l'appunto, che Cronenberg usa in modo davvero intelligente:

"Il cinema che penetra nei corpi suscita orrore, ma produce al contempo piacere" (Lacan, 1983).

Questa voracità visuale è personificata nel protagonista di Crash, Vaughan, che si aggira nei luoghi degli incidenti automobilistici, e con la macchina fotografica, cannibalizza i corpi martoriati e le lamiere squarciate. I punti di vista della macchina da presa si alternano tra primissimi piani su, ad esempio, ferite simili ad una vagina sul collo di un altro personaggio del film, Ballard, con il punto di vista di chi voracemente guarda. Lo spettatore, ha la reazione di ritrarsi, magari anche con disgusto, dalle immagini proiettate sullo schermo. A partire da questo vero e proprio crash con lo schermo, si produce un deragliamento visivo, si attraversa quel limite abietto, squarciando le frontiere.
Questo prologo è per poter dire che il meccanismo di distruzione delle barriere, dei confini, delle frontiere è presente, ad esempio, in Orlan.

Classe 1947, artista contemporanea irriverente, blasfema, iconoclasta, tende ad oltrepassare l'apparenza, a squarciarne il velo, a ridare carne e corpo all'immagine, il suo corpo esce dal quadro, in modo quasi spietato, tridimensionale, barocco, senza pudore.

"Devo dire che ho cominciato la mia attività come pittrice e come scultrice; e ancora oggi mi trovo a fare in maniera naturale della pittura e della scultura. In tutto il mio lavoro ho sempre cercato di evidenziare il valore che assume il corpo umano all'interno della sfera sociale. L'importante è sapere che lo statuto del corpo è importante nella società. Del resto le impressioni sociali politiche e religiose si inclinano nella nostra carne con forza e robustezza". 

Orlan
Nel caso di Orlan, la contamin/azione avviene non tra corpo e tecnologia come in Crash di Cronenberg, ma tra corpo e identità, è lì che avviene la trasformazione. Da ciò possono emergere nuove definizioni antropologiche dell'artista. Un artista re-incarnato, un clone di sé stesso, mutilato, impiantato di estensioni chirurgiche, un'artista che va oltre le congetture dualistiche del bene e del male. Dopo una serie di eventi storici traumatici che hanno innescato il senso di perenne barbarie, precarietà e morte nell'essere umano, l'artista, che forse più fra tutti, avverte questo senso di morte e degrado sulla sua pelle, ritrova una nuova "carne" in Orlan, un'artista che effettua una forte provocazione e trasformazione: mettendo in discussione l'idea stessa di sofferenza, dolore fisico, tortura, oltrepassandone i limiti psicologici e fisici.

Il piacere che sposta il baricentro
In Crash troviamo quasi un piacere voyeuristico del dolore, della compenetrazione tra protesi meccanica e carne, in Orlan si supera questo dualismo, il dolore è anacronistico. Cambia dunque il modello base della formulazione del concetto di essere umano, da uomo cibernetico, Homo communicans, sempre proteso, come spiega il sociologo Philippe Breton (Bifulco - Vitiello, 2004), verso dinamiche sociali ed esteriori, ad un nuovo paradigma di essere umano che sposta il baricentro sul corpo, sul rapporto con la sua identità, seppure violentata, degradata, trasformando entrambi in una nuova dimensione, attraverso l'arte, soprattutto. Un artista che ha l'esigenza di agire, trasformare, ma anche di far riflettere, raccontando le parabole estetiche di una nuova evoluzione umana.

Dal parto di qualcos'altro e la trasformazione in corpo, plastico, dell'immagine, fino ad arrivare ad una sorta di amplificazione, nasce l'etica/estetica di Orlan.

"This magnification of image to the point where it becomes unrecognizable is a key note of The Atrocity Exhibition" (Ballard, 1990, p.7). 
 
La Mostra delle Atrocità è un romanzo di James Graham Ballard, dove lo scrittore britannico dimostra sotto forma di esperimento come la psiche del cittadino moderno - ed in particolare la sfera riguardante le sue pulsioni sessuali, tipicamente ballardiana - sia ormai divenuta un'estensione della società circostante, dei media, della tecnologia, di ogni tipo di architettura che costituisce la società post-industriale, ed ovviamente, ingloba ogni tipo di arte, soprattutto quella contemporanea.
Ballard costruisce concretamente un museo di quella che è la realtà attuale, una mostra delle atrocità dove la catastrofe umana individuale si estende a livello collettivo.

Un processo simile avviene anche in Crash di Cronenberg, film tratto dall'omonimo romanzo ballardiano. Incidenti d'auto come massima espressione dell'atto sessuale: figure geometriche che corrispondono alle curve di un seno che dilagano lungo un cartellone pubblicitario fino a confondersi con l'orizzonte. Mutilazioni, soprattutto mutilazioni di ogni tipo, fino ad arrivare alle parti intime. Immagini disturbanti, estreme, che arrivano ad esasperare ma anche incuriosire la mente. Un po' come un'azione chirurgica che si serve delle linee generali del corpo per mettere in discussione il vivente, un lavoro di incarnazione, o meglio, di reincarnazione del pensiero nel corpo arrivando ad una nuova materializzazione del sé.

Il lavoro dell'artista, dunque, diventa carnale, un Art Charnel. Arte Carnale, Body Art. Orlan, pseudonimo di Mireille Suzanne Francette Porte, è un'artista, nota per le sue ricerche post-organiche. L'artista ha scelto come materiale per le sue performance sé stessa e la sua identità. Ha contaminato arte, video, cinema, televisione, pubblicità e tecniche digitali realizzando creazioni per l'appunto ibride, contaminate. Si chiamano anche Self-hybridations, azioni di senso artistico e, soprattutto, antropologico grazie alle quali l'artista tende ad interrogarsi su identità differenti (di sé stessa) ibridando corpi intellettuali differenti. L'arte carnale è una trasformazione del corpo, una mutazione del fisico, ispirata a criteri non convenzionali di bellezza, che mira a distruggere l'idea stessa di identità. Essa differisce dalla Body Art perché non fa alcun riferimento al dolore e alla sofferenza come strumento di salvificazione. L'Art Charnel trasforma il corpo in linguaggio, si propone come una nuova forma di ritratto, autoritratto, raffigurazione attraverso la deformazione e una nuova rifigurazione.

Orlan, attua il momento dell'intervento chirurgico come fosse una performance del corpo modificato, affermando la propria libertà individuale contro gli stigmi della società. L'Arte carnale è un lavoro di autoritratto in senso classico, realizzato, però, con i mezzi tecnologici del proprio tempo.

Chirurgia al self
A partire dal 1990, l'artista francese si è sottoposta a una serie di interventi chirurgici prendendo come fonte di ispirazione modelli classici come Venere, Diana, Psyche o la Monna Lisa di Leonardo Da Vinci. Con queste performance chirurgiche Orlan mette in discussione il concetto stesso per cui l'arte ha lo scopo di imitare la natura, imitando lei stessa l'arte. Dal 1993 invece, tre anni più tardi, Orlan attua un processo di negazione dei canoni di bellezza. Fino ad allora gli interventi estetici si basavano ad emulare le icone femminili dell'Arte Classica. D'ora in avanti l'artista decide di cambiare rotta, facendosi inserire protesi di silicone (da medici donne) che avrebbero dovuto essere impiantate per rialzare gli zigomi, sulla fronte. Facendo assumere all'artista sembianze inquietanti. Prendendo in considerazione le più recenti auto-ibridazioni (Self-hybridations) di Orlan, l'artista esplora la bellezza a nuovi livelli e si impegna in una minore teatralità della performance che coinvolge sangue e bende. Diventando sempre più legata ad imitare le caratteristiche dell'antica scultura di Olmec e Maya mediante autoritratti digitalmente alterati, raggiungendo un nuovo prototipo di bellezza virtuale. A differenza della serie Reincarnation, che utilizzava il bisturi di un chirurgo, queste immagini sullo schermo sono il risultato di dati digitalizzati e manipolati. Come autoritratti, sono fantasiosi e storicamente inventivi. Rappresentano una Orlan disincarnata, le cui immagini sono state criticate in termini di costume e tecnologia digitale rispetto al processo fisico precedente di guardare il corpo aperto durante un intervento chirurgico, cioè il corpo reale di Orlan sotto i ferri (come nella serie di Reincarnazione per l'appunto).

Si tratta di un contesto molto più ampio di standard di bellezza. Le immagini precolombiane a cui l'artista francese potrebbe rimandare, o rievocare, ad esempio, incorporano standard di bellezza sia femminili che maschili. Le auto-ibridazioni di Orlan hanno a che vedere con l'autocontrollo. Sotto il suo stesso potere, Orlan crea dei sé straordinariamente colorati. La bellezza virtuale che Orlan, però, svela nella sua serie di Auto-ibridazioni non è una bellezza reale o irreale, ma piuttosto una bellezza finta, causalmente disincarnata, basata sugli effetti che intende creare da un uso fantasioso e combinato di immagini ibride. La sua non è una bellezza mostruosa, a meno che non si ridefinisca il concetto di bellezza e lo si associa a quello di mostruoso. L'artista francese ha cercato di rendere le sue auto-ibridazioni come più umane possibili, come esseri mutanti, che trasmutano continuamente, lasciando tracce.

Infatti, esistono le riprese anche delle sue operazioni. I reperti organici che le operazioni producono, vengono inseriti in contenitori appositi, diventando dei "reliquiari". La parola reliquia mi rimanda al sociologo francese Edgar Morin che ci dice come nascono gli dèi, ovvero le star. Gli artisti, i personaggi del cinema e dello spettacolo, sono molto più che oggetti d'ammirazione: sono soggetti di culto. Attorno a loro si crea un alone di religione, una religione che abbaglia letteralmente tribù di fedeli, che sono come portatori di reliquie, i consacrati al culto, detti appunto fanatici o fans. Ecco che Orlan tratta il corpo al contrario di una reliquia, come qualcosa di mutabile, plasmabile come la materia scultorea, l'artista ha infatti implementato le sue trasformazioni fisiche alla base della propria ricerca stilistica. Considerando il suo aspetto come un supporto organico che non è più contraddistinto per la sua unicità, ma al contrario dalla sua versatilità e molteplicità.

Duplicity? Worse: Multiplicity
Il suo volto è un ibrido fotografico, gli scatti ripetitivi del suo viso, l'accatastamento dell'immagini la mostrano rimuginare su sé stessa, sulla sua identità: un senso di agitazione interiore che non ha ancora una direzione riconoscibile. Questa sua auto-ossessione sta per proiettarsi nell'intera storia dell'arte, attraverso culture diverse, in migliaia di anni e in vari continenti, diventando lei stessa. Prende in prestito i motivi visivi, ma è più interessata alle caratteristiche femminili che assume e al modo in cui gli artisti maschi le hanno ritratte. Si appropria, ma non per replicare. Quindi, la sua non è una forma d'arte imitativa; piuttosto, si preoccupa di ciò che può ridefinirsi una bellezza interiore: l'aggressività di un avventuriero, il coraggio di affrontare un futuro incerto, l'amore e la fame spirituale, la ferocia e la creatività. Queste sono le storie o le narrazioni che Orlan vuole raccontare nei suoi autoritratti, non dei loro visi.

L'identità disincarnata di questi volti, diventa il modus operandi di Orlan. Dalle operazioni chirurgiche alla sua esplorazione visiva di pixel stampati su carta. Passa dal reale al virtuale e le sue appropriazioni di bellezza, all'interno del suo auto-ritratto diventano anche virtuali.
Nelle sue costruzioni digitali, Orlan ha rifigurato il suo autoritratto mescolando e ibridando, con l'aiuto di un computer, rappresentazioni di dee della mitologia greca, scelte non per i canoni di bellezza che dovrebbero rappresentare ma per le loro storie, appunto. Le storie sono scelte ed illustrate ma non, in senso stretto, imitate. L'obiettivo non è quello di confrontare ciò che è reale con ciò che è virtuale e viceversa in una sorta di infinita opposizione riduttiva. Al contrario, la virtualità si confonde con la realtà come con la sua parte immaginaria.

Orlan è fondatrice di un movimento, ha creato il manifesto della Carnal art che si basa sulla mutazione del corpo, avviene in diretta planetaria tramite internet, corpo che viene ripreso dalle telecamere, un corpo visto e goduto visivamente, da chiunque. La sua poetica è il corpo stesso, che coincide, ovviamente con quello dell'artista che firma l'opera. In generale il bodyartista usa il proprio corpo come materiale e mezzo di espressione. Si esibisce in azioni, spesso difficoltose ed estreme, che sfruttano tutte le potenzialità espressive del corpo sottoponendolo a crudeltà, a prove di resistenza, o ancora valorizzandone le capacità mimetiche con travestimenti. Il tutto documentato da fotografie, video e registrazioni audio, ma anche testi, schizzi preparatori. La durata della performance (pubblica o privata) non è solita a limiti temporali, ma spesso corrisponde con la capacità di resistenza dell'esecutore che esibisce il proprio corpo teatralizzando un'esperienza fisica, con un maggior gusto per la soluzione ad effetto, spesso provocando e mettendo in crisi il ruolo passivo dello spettatore. Una pratica artistica che riflette, attraverso l'uso e l'abuso del corpo, sulla perdita dell'identità, sul bisogno non corrisposto d'amore degli esseri umani, sulla violenza intrinseca della nostra natura, celata sotto il perbenismo ipocrita della borghesia, sul dolore ineluttabile dell'esistenza umana, contro la logica del capitalismo, che impone un'estetica standardizzata e soprattutto vuole affrontare la morte attraverso la vita. Una pratica, quella di Orlan, che ha radici molto più antiche di quelle nate dagli anni Novanta, tempi in cui l'artista francese avrebbe iniziato. Sicuramente già dagli anni Cinquanta, il teatro può dirci qualcosa in merito, con le azioni fisiche di Jerzy Grotowsky, oppure il teatro dell'orrore di Antonin Artaud. Diamo per scontato, dunque, che le operazioni estetico-chirurgiche di Orlan siano vere e proprie opere artistiche.

ORLAN-OÏDE work in progress
Sicuramente questa affermazione è spontanea per molti, la storia dell'arte contemporanea ci ha insegnato che davanti un taglio di Fontana, oppure passeggiando su una galleggiante piattaforma dell'artista Christo, Floating Piers, siamo ritornati sulla terraferma con un bagaglio di comprensione diverso, un nuovo punto di vista. Cambiano le epoche, ma continua una concezione fortemente empirica dell'arte: la scultura, la pittura sono comprese dalla collettività perchè reputate espressioni canoniche dell'arte. Ben più difficile è il ruolo dell'arte concettuale, che raggiunge la sua maggiore espressione nella performance, forma artistica nata negli anni Sessanta appunto. Il suo scopo è generare atti di vita e non uno spettacolo, fondendo arte e realtà in un unico, momento presente ed irripetibile. Tuttavia, se si inizia a valutare un'opera tenendo conto di una costante come quella del pubblico, le prospettive si ampliano notevolmente. Ed è allora che c'è l'happening, ovvero l'accadimento dove l'atto creativo di un nuovo spazio è plasmato ed abitato a 360° dai singoli visitatori, o meglio spettatori, che non si limitano a guardare od osservare semplicemente l'accadimento, ma magari a parteciparvi in qualche modo, oppure a sentirsene coinvolti profondamente. Spesso sono gli spettatori a dettare le regole della performance che va acquisendo il valore di profonda riflessione sulla natura umana.

Nella Carnal Art di Orlan, si riflette appunto sulla missione compiuta da parte dell'artista francese, di innalzare a dignità artistica gli interventi di chirurgia estetica. Facendo del proprio corpo la materia prima di un'opera scultorea, il masochismo si fonde paradossalmente con il culto del corpo. A differenza della Body Art, dove il dolore assume connotati catartici di purificazione, in Orlan l'intervento chirurgico diviene come uno spettacolo di Cabaret, talvolta contornato da readings poetici, musica e da infermieri e dottori travestiti. Nell'assistere al progressivo scomporre e ricomporre chirurgicamente la carne dell'artista, è inevitabile riflettere sulle possibilità di perdita dell'identità fisica della persona attraverso l'intervento chirurgico. Orlan applica la logica della trasversalità, attraversando e rompendo tutti i confini che attraversano il corpo, una logica tanto cara anche ad un altro sociologo francese, Jean Baudrillard, partendo da una riflessione prettamente sociologica del cosiddetto Teorema di Thomas, secondo cui, se gli uomini definiscono una situazione come reale, questa verrà comunque valutata reale nelle sue conseguenze. Quando la simulazione prende il posto della realtà, essa potrebbe svanire dietro i suoi simulacri, rappresentando qualcosa che non esiste.

Per l'artista Orlan, rivolgersi a qualcuno fuori l'opera e fuori la propria individualità, dunque allo spettatore, gli dà l'opportunità di offrire una determinata esperienza, e ci riagganciamo qui al concetto empirico dell'arte intesa soprattutto come esperienza. Che sia anche solo sostenere, con lo sguardo di chi osserva, l'artista stesso. Ecco dunque la formulazione di una nuova idea di essere umano, l' Homo Communicans. L'uomo nuovo, interamente eterodiretto, rivolto all'esterno, nato dalla prospettiva tracciata da Norbert Wiener, padre della cibernetica, la cui nozione è stata ripresa e contestata dal sociologo francese Philippe Breton. Quest'uomo nuovo, contrariamente all'ideale dell'uomo classico che esalta la vita interiore, è un tipo di uomo facilmente paragonabile agli organismi artificiali.

"La sua esteriorizzazione lo libera dal corpo, lo debiologizza, e ne fa una realtà interamente sociale, non diretta da alcun valore interiore, ma razionalmente protesa verso le dinamiche esterne" (Bifulco - Vitiello, cit. p. 193). 

Una visione questa che attribuisce alle macchine connotati umani e viceversa. Una visione applicabile a Ballard e al Crash di Cronenberg, e ad Orlan. Il concetto di uomo e della carne, o meglio del corpo che lo abita, è molto legato alla sua estensione in Ballard, nel suo La mostra delle atrocità, allo scontro e alla distruzione intesa come rinascita di un qualcosa di nuovo in Crash, del film di Cronenberg tratto dall'omonimo romanzo di Ballard e alla trasformazione e mutazione del corpo in Orlan. Per Marshall McLuhan ad esempio, sociologo canadese, ogni parte del corpo ha una sua estensione tecnologica. Ogni tecnologia può essere considerata come estensione specializzata delle funzioni psichiche e mentali dell'uomo.

Estensioni della personalità
La parola estende il pensiero, la ruota il piede e così via, fino ad arrivare ai media elettronici che sarebbero estensioni del nostro sistema nervoso centrale. Seguendo questo ragionamento si potrebbe dire che gli inserti applicati sulla pelle di Orlan, possano essere visti come una maschera, più o meno, e cos'è la personalità se non una maschera? Un'estensione della propria personalità. Gli effetti della tecnologia alterano costantemente, senza resistenza alcuna, le reazioni sensoriali ed ogni forma di percezione. Il vero artista, è in grado di fronteggiare la tecnologia poiché da un punto di vista prettamente esperienziale, l'artista è consapevole dei mutamenti che si effettuano nella percezione dei sensi.

Per Orlan, l'immagine corporea è una maschera, dietro la quale c'è il vuoto. Dietro l'apparente giovialità dell'intervento chirurgico si nasconde la distruzione, ovviamente, dell'identità. Per Orlan il corpo oramai è qualcosa di obsoleto, ma dietro questo meccanismo decostruttivo interviene, sempre, la ricostruzione, di un'identità, o meglio un'alterità. L'incontro inquietante con l'alterità, con l'altro, ha presupposto storicamente, e non solo in Occidente, la costruzione dell'Io, considerato come un individuo che possiede una specifica sessualità, etnia, nazionalità e tradizione. Il rapporto tra l'Io e l'altro è andato via via indebolendosi con l'ingresso della modernità e il conseguenziale rifiuto dell'altro a rispecchiarsi. Orlan mette in continua discussione questo rapporto. Ricreando un nuovo Io.
Tutti (Ballard, Orlan, Cronenberg), infatti, danno importanza non al corpo biologico che fonda tale esistenza, bensì alla natura sociale di questo nuovo corpo, questo essere sociale definito dalla sua capacità di comunicare socialmente, la cui esistenza informazionale, esiste solo in quanto tale.
Si gettano le basi di una nuova antropologia, dove l'uomo non è posto al centro dell'universo, come accadeva nell'Umanesimo, dove la vita non si basa più sulla biologia, ma piuttosto sulla comunicazione. Si può comprendere l'uomo soltanto se lo si considera essere comunicante.

David & David
Sicuramente è una visione utopistica e radicale, poiché l'essere è interamente costituito d'informazione, non esistono residui, esso è manipolabile, utilizzabile, trasferibile, proprio come un semplice dato. Mi viene in mente la famosa intervista fatta negli anni Settanta a David Bowie, in cui lui affermava di essere un collector, un collezionista di maschere, volti, cose, persone e personalità.
Ecco Bowie fa parte di quella schiera di artisti, come Orlan, camaleontici, che creano un'infinità di volti attraverso la continua distruzione e creazione della propria identità, che non è mai la stessa.
Giocano con le loro personalità, completamente consci e consapevoli che quel loro essere è in continua trasformazione. Coinvolti in un continuo flusso di scambi, di relazioni con il mondo esterno, il loro essere si dissolverebbe nella noosfera, l'unità delle idee collettive che convergono in un'energia psichica globale, una sorta di inconscio collettivo.

Non è un caso infatti, che un performer come David Bowie, nel suo ultimo video musicale Lazarus, abbia spettacolarizzato la propria morte. Dissolvendo proprio la sua esistenza in quanto individuo comunicante, con la collettività. In merito al concetto di spettacolarizzazione, ci può dire qualcosa Walter Benjamin, che, descrivendo il lento ingresso dell'opera d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica, afferma che una tappa fondamentale di questo processo è la scomparsa dell'aura, soprattutto in termini di lontananza.

"al contrario, la riproducibilità tecnica ha l'effetto di "rendere le cose, spazialmente e umanamente, più vicine", desacralizzandole" (Bifulco - Vitiello, p. 95). 

David Bowie è Dio. Quante volte abbiamo letto o ascoltato questa frase? Che succede quando, però, Bowie, e tutta una schiera di artisti, inizia a voler perdere quest'aura, a desacralizzarsi, e dunque ad avvicinarsi di più ai suoi simili, gli esseri umani, e ai suoi fan? Edgar Morin in Le Star del 1957, sviluppa un'indagine sul fenomeno del divismo. Le grandi vedette del cinema, della musica, dello spettacolo, della performance, dell'arte, osserva Morin, sono creature reali e mitologiche a un tempo:

"La loro vita privata è pubblica, la loro vita pubblica è pubblicitaria, la loro vita cinematografica è surreale, la loro vita reale è mitica" (Bifulco - Vitiello, p. 103). 

La loro arte, quella di un Bowie o di una Orlan, è come una scatola sapientemente artificiosa di sogni ed illusioni di cui entrambi sono perfettamente consapevoli. Per quanto fragili e inautentiche possano essere le loro innumerevoli identità, ci fanno credere nella possibilità di reinventarsi continuamente. Reinventando sè stessi apparentemente senza limiti, Bowie con le sue maschere e personalità inventate come l'alter ego di Major Tom, Ziggy Stardust, Aladdin insane, The White Thin Duke, Halloween Jack, Orlan con le molteplici operazioni estetiche e trasmutazioni, hanno entrambi indotto a pensare che anche noi, comuni mortali, abbiamo la loro stessa possibilità, illimitata, di cambiamento. E invece no. Il pubblico può solo identificarsi in un artista ma non è l'artista, non ne ha vissuto le sue stesse esperienze, non ha il suo stesso patrimonio economico, non la sua fama. Ma in qualche modo, ascoltando le canzoni di Bowie, guardando una fotografia digitale di Orlan, o una sua video installazione, possiamo credere o per lo meno sognare di farlo. Questa è arte. Per quanto essa possa emulare la vita, è pur sempre finzione. Incredibile, ad esempio, come un Bowie abbia trovato la forza e la lucidità mentale di uscire di scena dalla vita, pianificandola come un ultimo evento multimediale nel suo ultimo testamento musicale, l'album Blackstar.
 
Nicholas Ray
Ancora un altro esempio di un comportamento così lucido ed analogo lo possiamo analizzare in un film del grande Wim Wenders Lampi sull'acqua - Nick's Movie del 1980. Il regista tedesco Wim Wenders, nel film visita il suo amico e altro regista Nicholas Ray documentando insieme a lui gli ultimi giorni della propria vita e filmandone ogni istante. La volontà di Ray è quella di vivere i suoi ultimi giorni di vita davanti alla cinepresa di Wenders, sapendo che cosa metterà fine alle riprese, e al film stesso: la propria morte. Parafrasando ancora una volta il sociologo Edgar Morin, è proprio vero che i nuovi dèi dello spettacolo hanno le armi spuntate: a loro l'arma, puntata su di noi, a noi, invece, l'opportunità di cogliere quell'esperienza e farla nostra.

Testi


  • Ballard J. G., The Atrocity Exhibition, Re/Search Publications, GB,1990.
  • Bifulco L. - Vitiello G., Sociologi della Comunicazione Un'antologia di studi sui media, Ipermedium Libri, Napoli, 2004.
  • Lacan J., Il seminario. Libro XX: Ancora (1972-1973), Einaudi, Torino, 1983.
  • Tolve A., ORLAN l'opera d'arte totale della contemporaneità, in "Quaderni d'Altri Tempi" 30/2011, http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero30/bussole/q30_b02.htm