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24.3.20

Il paradiso degli interstizi ai tempi del COVID 19


Un romanzo che ti fa sentire "con i piedi per terra e la testa in cielo" e che esce in una fase epocale di isolamento e introspezione.
La lettura di questo romanzo ti sbalza dal reale all’immaginario per il modo in cui Gianfranco Pecchinenda racconta, attraverso un intreccio di storie e personaggi arricchiti di contorni fenomenologici intorno a temi reali ed attuali, rompendo le righe tradizionali di un racconto che a volte sembra quasi di perdere il filo conduttore per poi fantasiosamente ritornare in quel senso sì “logico”, ma pur sempre destrutturato.

Ciò emerge dalle “lezioni” del prof. Amalfitano quando presenta ai suoi studenti l’obiettivo del suo corso… Desumblar, “rischiarare”, fare luce dentro se stessi, ascoltare il maestro, cercare il silenzio, meditare, attendere senza ansia che qualcosa accada… ed è proprio accendendo una candela che possiamo iniziare a rischiarare, a far luce in questo nostro percorso individuale e collettivo, che oserei chiamare rivoluzionario, a cui tutti, vuoi o non vuoi, siamo chiamati in questo periodo di isolamento globale in cui il senso del tempo è improvvisamente e bruscamente cambiato per tutti interrompendo ogni routine, il senso dello spazio si è paradossalmente ridotto in questa fase decennale di globalizzazione, dove il vuoto, il niente, il terrore della morte e l’orrore del nulla, temi che tutti rifuggiamo con la frenesia quotidiana delle nostre attività e che invece sembrano essere fedeli allo scrittore, si sono impossessati prepotentemente della nostra “nuova” quotidianità, obbligandoci a fermarci e a fermare ogni cosa, e che oggi ci richiama a “desumblar” la nostra vera essenza.

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Colpisce che queste parole, queste riflessioni Pecchinenda le abbia scritte si può dire in tempi non sospetti rivelando la profonda e attenta osservazione della vera essenza dell’esistenza umana e delle sue innumerevoli domande a cui spesso non si trovano risposte e che riesce a far venire fuori in modo semplice, scorrevole e direi realistico da un romanzo in cui si intrecciano storie di vita reali e non, relazioni umane, valori e riflessioni sulla nostra modernità che spesso nel “mondo dell’assurdo”.
E, di questo “mondo assurdo”, non ci rivela risposte o spiegazioni, ma ci fornisce la bussola per trovare la strada o forse meglio dire “la candela che ci rischiara il cammino”, e mi chiedo se lo fa volutamente o meno, quello di affidarci al potere dell’illusione, dell’immaginazione senza mai sottovalutare il potere dell’allegria (o per meglio dire della leggerezza secondo Italo Calvino nelle sue lontane nel tempo ma attuali pagine delle Lezioni americane)… la strada verso il Paradiso degli Interstizi, “il paradiso delle piccole cose, dei momenti brevi e fugaci, quei luoghi della mente, io direi luoghi eterei, in cui amiamo soffermarci per attribuire un senso all’esistenza, quel luogo che riporta alla capacità di sognare, di lasciar andare… E tutti questi interstizi, fatti di piccole cose, di momenti fugaci, ci ritroviamo obbligati “per assurdo” a sperimentarli oggi e soprattutto a riconoscerli, ad apprezzarli e ad attribuire il loro vero valore. Fa pensare che è la strada che lo stesso autore ha intrapreso e voluto esplorare, mentre il resto del mondo continuava a correre, per rifugiarsi o ripararsi da quell’universo accademico dove “pare che il mondo non esista al di fuori della testa”, dove la maschera della serietà e della compostezza primeggia a dispetto di quell’allegria, di quell’ironia e di quella famigerata leggerezza che, non è superficialità, più volte ritorna in questo romanzo come la strada per la nostra salvezza trovando nel potere dell’immaginazione e dell’illusione quell’energia primordiale che va oltre ogni spiegazione razionale.

Un romanzo vissuto come un viaggio tra reale e immaginario, tra visioni e concetti facendo emergere in più punti la necessità di un linguaggio più artistico, più creativo , di un sistema più umano di comunicazione fatto di segni, ricco di simboli pieni di significato, del resto la nuova sfera della psicologia oggi ci dice che la nostra essenza usa un altro linguaggio per manifestarsi, quello dei simboli e delle immagini che ci connettono alle nostre radici più lontane, quelle primordiali che la nostra mente non conosce e ci invita a recuperarle e ad affidarci ad esse per rompere routine mentali e scoprire altri lati di noi stessi. Sembra una sorta di appello all’umanità, un richiamo al vero senso delle relazioni umane e dei suoi valori che nel tran tran quotidiano si perde di vista e che possiamo ritrovare solo fermando il treno e scendendo alla fermata “Immaginazione”… una sorta di esercizio per staccare da quel pensare continuo che potrebbe far crollare i rassicuranti sistemi logici dove costruiamo le nostre certezze. E così l’esercizio che il maestro dei protagonisti del romanzo, il professor Amalfitano consiglia, “…di tanto in tanto, esercitarsi a scompaginare, offuscare, confondere…” oggi che siamo costretti a vivere isolati, senza alcun tipo di contatto, soli con noi stessi, i nostri pensieri…dove tutto è scompaginato, tutto ci appare offuscato e confuso, l’unica nostra zona di comfort potrebbe davvero essere l’immaginazione, così che il ritorno alla realtà ci possa apparire più soave e forse anche più vero.

Ce lo dice chiaramente Pecchinenda anche nelle parole di Francesco Calabrese, uno dei suoi personaggi quando scrive del suo sogno: “…il paradiso potrebbe realizzarsi nel riuscire a far incontrare le due, poesia e pensiero…”, ossia arte e intelletto, creatività e ragione, immaginazione e realtà, insomma un incontro che darebbe vita a quell’equilibrio che tutti cerchiamo nella vita, dove dolore e paura sono la vita stessa insieme a piacere e coraggio, dove uno non esclude l’altro ma entrambe convivono pacificamente giocando ognuno il suo ruolo se e quando chiamato in causa…e forse proprio in questo incontro magico si nasconde il paradiso!

Un periodo propizio questo per esplorare e sperimentare l’immensità del “Paradiso degli interstizi” che ognuno di noi sta vivendo nella sua quotidianità senza prestarci attenzione, per “sollevare il braccio e allungare quella mano”, usando le parole di Omar Amalfitano, e afferrare quel sapere, compreso con il cuore e non con la mente, che va oltre ogni forma di convenzione istituzionale, che è lì a portata di mano, che sa di verità, una verità che per alcuni versi può sembrare scomoda, una seccatura, ma che ci rende liberi e paradossalmente ci fa sentire al riparo da incombenti minacce del mondo esterno.

Un romanzo, che anche se scritto in un momento diverso da questo che stiamo vivendo, si rivela più che mai attuale, oserei definirlo Rivoluzionario, una rivoluzione a cui tutti oggi siamo chiamati e che, tra le righe e in modo implicito, si può leggere attraverso quei contorni di fenomenologia esistenzialista che recingono temi sempre più vicini all’essere umano e che Pecchinenda, con la sua sensibilità e curiosità di un sapere che va oltre i concetti di manuali accademici, ci restituisce parlando tutti i linguaggi, “quello della ragione ma anche quello dell’intuizione, quello della scienza ma anche quello del sogno, quello logico-razionale fatto di cause ed effetti ma anche quello capace di indicare i fini e non solo i mezzi, quello capace di farci battere il cuore e di rimettere in moto la potente voce di uno spirito nascente”, (tratto da una poesia di Marco Guzzi), uscendo da quel monolinguismo fatto unicamente di distinzioni logiche che domina i nostri tempi… questa è la rivoluzione culturale a cui tutti oggi siamo chiamati, soprattutto chi ha la responsabilità sociale di comunicare e trasmettere agli altri cultura e sapere…”solo lo stupore di fronte all’inatteso, insegna qualcosa di vero”…proviamo a cercare la poesia che c’è nella vita, e se non ci dovessimo riuscire, proviamo e riproviamo ancora con la ricerca della verità!

Il Paradiso degli Interstizi ai tempi del COVID 19, si potrebbe dire, chiamando il virus col suo nome scientifico per evitare di associare alla parola “corona” il significato mortale che gli si sta attribuendo, per riappropriarsi di un uso consapevole del linguaggio che adottiamo in un’epoca in cui bisogna cambiare e riappropriarsi della comunicazione, perché, per dirlo con le parole di Marco Guzzi, “le parole non sono dei fonemi utilizzabili a piacimento, le parole sono informazioni che plasmano la psiche”.