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25.3.20

Nuove stanze dell'inferno


Appunti su Un oscuro riflettere. Black Mirror e l'aurora digitale.
Agathe […] replicò:
- Prova a guardare uno specchio di notte:
è scuro, è nero, tu non vedi quasi niente;
eppure quel niente è senz’altro diverso dal niente dell’altra oscurità.
Tu intuisci il vetro, il raddoppiamento della profondità,
non so quale rimasta capacità di brillare…
e tuttavia non vedi nulla di nulla!

(Musil, 1962) 
Apocalisse. La mostra di quest’anno,
alla quale i pazienti non erano stati invitati,
aveva un segno inquietante […] come se questi pazienti,
così a lungo segregati, avessero avvertito
nelle menti dei dottori e delle infermiere
una specie di sconvolgimento sismico.

(Ballard, 1991) 
Io non sono nel business. Io sono il business.
(Scott, 1982)

Prossimità

Durante un recente seminario svoltosi all’Accademia di Belle Arti di Napoli (M. De Feo, 2019) dedicato alla “realtà aumentata” e che prendeva spunto dall’analisi di una app “dedicata”, uno dei relatori ha posto una domanda all’apparenza banale intorno alla reazione che avrebbero avuto i presenti se colei o colui seduto al loro fianco gli avesse chiesto il proprio smartphone in prestito.
Seguì sulle prime un silenzio imbarazzato, poi arrivarono una serie di risposte, altrettanto imbarazzate, a proposito delle difficoltà che molti avrebbero a cederlo ad altri, anche solo per pochi attimi. La relazione che si è articolata col cellulare ne fa ormai, di fatto, qualcosa di molto simile ad un organo del nostro corpo. Un corpo trasformato, augmented, segno di una mutazione antropologica profonda, irreversibile, che conosce un passaggio di stato ulteriore rispetto a approdi già raggiunti in passato, sempre ruotanti intorno a tecnologie della comunicazione di uso sostanzialmente personale.
Di queste, due in particolare: prima l’automobile, poi la televisione.
In questo senso, come sintesi di audiovisivo e digitale, lo smartphone si pone come la manifestazione di un nuovo livello più profondo e completo rispetto prima all’automobile, poi all’apparecchio televisivo, della nostra ibridazione con i mezzi di comunicazione.

Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale
E si potrebbe legittimamente inneggiare a tutte e due queste tecnologie – l’automobile e il cellulare, una che precede, l’altro che segue la televisione – con lo slogan “Lunga vita alla Nuova Carne!” urlato Max Renn in Videodrome (Cronenberg, 1983), uno dei capolavori di David Cronenberg, e una delle tappe obbligate da cui passare per discutere, come avviene in Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale (Attimonelli, Susca, 2020) [1], delle trasformazioni che l’umano sta conoscendo all’uscita dalla Modernità, ancora incerto sul panorama che gli offre il futuro, anche prossimo: l’aurora digitale (ivi, pp. 156, 319) di cui scrivono Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca – e delle narrazioni che ne riflettono incertezze, pulsioni, angosce, nella sfera del “sistema mimetico” (Pecchinenda, 2018) con cui cerchiamo di dare forma al mondo, che si arricchisce delle nuove articolazioni connesse alle ibridazioni fra organismo e artificio (Cfr. L. De Feo, 2017).
Black Mirror (2011-), la vertiginosa serie tv ideata da Charlie Brooker e prodotta prima da Endemol e per le ultime stagioni da Netflix, è il luogo privilegiato da cui guardare a questo, che è presumibilmente un approdo – non definitivo, ancora temporaneo – dell’umano occidentale con i mezzi di comunicazione. [2]
Ed è anche un oggetto narrativo di straordinaria complessità, di formidabile poliedricità, che i due studiosi analizzano in profondità, negli intrecci che propone con la vicenda del Soggetto nato con l’Umanesimo, le derive della vita quotidiana, le strategie dell’immaginario, la capacità metamorfica, creativa e distruttiva insieme, del capitalismo (Harvey, 2002; Jameson, 2007; Fisher, 2018).
Attimonelli e Susca chiariscono come lo show di Brooker, nel suo allestire e mettere in scena un futuro che è già per molti versi il nostro presente, si ancori a intuizioni e visioni narrative precedenti, che già avevano evocato, in modi diversi, i possibili esiti disastrosi del nostro rapporto con le tecnologie – in particolare quelle della comunicazione.

E citano alcune pellicole capitali (ivi, pp. 294-299) fra cui The Truman Show (Weir, 1998) e Matrix (A. & L. Wachowski, 1999), di cui evidenziano il debito con l’opera di Philip K. Dick, e V per Vendetta (McTeigue, 2005), che rimanda esplicitamente alla tradizione della distopia britannica.
A queste narrazioni – percorrendo i sentieri che si snodano sul crinale della storia dell’industria culturale di massa e dell’immaginario collettivo – possiamo aggiungere altre tappe, altri picchi – più precoci – che raccontano rischi, angosce, perversioni del nostro rapporto con i media.
Nel 1951 l’americano Richard Matheson, maestro dell’inquietante letterario e televisivo [3], pubblica il racconto Su dai canali (1961) in cui immagina che una tranquilla famiglia americana abituata a passare le serate davanti al televisore, diventi preda (o evochi con la propria mente) di una entità che la spinge alla violenza e all’assassinio. Una forma precedente di “Nuova Carne”, impalpabile e aliena, coerente da un lato con le prime paure che circondavano il “nuovo” medium, la televisione [4], dall’altro con la fantascienza di invasione e il weird americano, ma che ha bisogno del medium televisivo per manifestarsi…
Nel 1977 l’inglese James G. Ballard, insieme a Philip K. Dick forse il più grande scrittore di fantascienza della seconda metà del Novecento, che come l’americano ha contribuito a farla esplodere e sbriciolare i propri confini, pubblica il racconto Terapia intensiva (Ballard, 2005). Eccone l’incipit:
Tra pochi minuti comincerà il prossimo attacco. Ora che mi trovo circondato per la prima volta da tutti i membri della mia famiglia mi sembra assolutamente necessario che questo evento irripetibile venga registrato nel modo più completo. Mentre giaccio qui […] mi rendo conto che ci saranno molte persone che considereranno la mia scelta dell'argomento quantomeno curiosa, ma questo film rivoluzionerà il concetto stesso di filmino amatoriale, e spero che chiunque si troverà a guardarlo possa ricavarne un'idea almeno minima dell'immenso affetto che provo per mia moglie, per mio figlio e mia figlia, e dell'affetto che a loro volta, nel loro modo particolare, essi provano per me (Ballard, 2001, p. 214).
Il racconto è ambientato in un futuro in cui qualsiasi contatto fra gli esseri umani è fortemente scoraggiato, addirittura abolito, se non proibito dalla legge. Le persone però lavorano lo stesso, si sposano, hanno figli, conducono una regolare vita associata, ma sempre mediata dalla televisione. Così si “vedono” la mattina a colazione, conversano, partecipano a feste e cene, educano i figli – che fanno scuola, naturalmente, attraverso sistemi di teleconferenza.
Il protagonista della storia, il narratore in prima persona – un medico che in “cinque anni da studente di medicina erano trascorsi senza che avessi bisogno di vedere un solo paziente in carne ed ossa” (Ballard, 2001, p. 216) – ha però a un certo punto una bizzarra idea: riunire la sua famiglia (lui, la moglie, una figlia, un figlio – concepiti con l’inseminazione artificiale) in praesentia: il risultato è un massacro.
Qui, la televisione, i computer, i videogiochi – i loro schermi, le app alla base del loro funzionamento – svolgono la funzione opposta, di protezione, di filtro alle pulsioni più oscure e selvagge, rispetto alla televisione immaginata da Matheson. Anticipando Brooker, Ballard descrive uno stato in cui l’umano si è adattato a una società in cui la realtà si è trasformata in un ambiente interamente mediato da superfici, il trionfo di una tendenza profonda del Novecento, quella in cui poi il creatore di Black Mirror innesterà i suoi racconti. Scrivono Attimonelli e Susca:
“La cultura occidentale in primis a partire dall’avvento della fotografia e dei media che si sono avvicendati, dal cinema a quello televisivo sino all’ibridazione dei linguaggi multimediali, ha riorganizzato saperi e dinamiche societali intorno a relazioni complesse con oggetti superficiali che hanno dato origine ad una teoria di superfici profonde [...] Questa condizione sotto gli occhi di chiunque, ha investito ogni campo della vita quotidiana modificando radicalmente l’immaginario che l’accompagna […] La storicizzazione della visione chiarisce come siano i dispositivi che veicolano per noi le immagini a determinare dinamiche culturali, antropologiche, sociali e politiche” (Attimonelli, Susca 2020, pp. 106-108).
Il passo successivo diventa quello proposto da James Ballard: adattati ad una condizione in cui la relazione con la realtà – persone, cose, eventi – si svolge solo attraverso la “profondità” degli schermi, diventerebbe impossibile per noi vivere la prossimità fisica con gli altri, pena la reciproca distruzione.
L’alternativa è, per l’individuo contemporaneo, in Charlie Brooker, “la totale cessione dell’individuo, nella carne e nello spirito, a corpi che gli sono estranei” (Attimonelli, Susca, 2020, p. 52), come in Arkangel (E2S4) e Black Museum (E6S4), White Christmas (Speciale, 22/10/2015). Quest’ultimo in particolare svela un altro dei debiti di Brooker nei confronti di Dick: le sagome bianche che Matt, il protagonista, vede per strada, rimandano alla “scramble suit”, la “tuta disindividuante” indossata da Bob, il protagonista di Un oscuro scrutare (2004), poliziotto infiltrato, per non farsi riconoscere – e a cui, per inciso, rendono omaggio i due autori del libro col loro Un oscuro riflettere, cogliendo nei fatti un ribaltamento di prospettive fra il 1977 di Dick, lo “scrutare nel buio” [5] dei dubbi e delle insicurezze dei suoi personaggi, e, dall’altro lato, i riflessi opachi/trasparenti delle nostre figure negli schermi televisivi e le “oscure riflessioni” che ci induce la serie di Brooker, ad accompagnare il suo catalogo di esempi di come l’ingresso nella “aurora digitale” (Attimonelli, Susca, 2020, pp. 156, 319) sarà forse segnata da – seppur morbide, suadenti, elusive – violenze, sofferenze, coercizioni, come sempre, nella natura del capitalismo, cui le trasformazioni in corso sono inestricabilmente intrecciate, e su cui anche i due autori del saggio si soffermano (Attimonelli, Susca, 2020, pp. 29, 64n).

Omologie

Se accettiamo la parentela fra automobile, televisione, smartphone, in questo transito dall’analogico al digitale, ritroviamo una metafora lucida e profetica della violenza insita nella nostra relazione con i media nel 1973, quando James G. Ballard pubblica Crash (1990), “il primo romanzo pornografico basato sulla tecnologia” [6], che ruota intorno a un gruppo di cenobiti, fedeli di un culto fatto di “dolore e desiderio”, che si nutre degli incidenti automobilistici e si svolge sotto gli occhi delle telecamere delle televisioni e delle cineprese amatoriali e macchine fotografiche di passanti, curiosi, voyeurs (Fattori, 2013, pp. 264-268).
Particolare di una visione inedita
L’automobile è uno dei simboli più potenti dell’intreccio fra affermazione della società di massa e individualizzazione: prodotto idealtipico della catena di montaggio, è anche lo strumento della emancipazione dai mezzi collettivi per viaggiare, con il lunotto anteriore e i finestrini laterali che fanno da schermi di una visione inedita – come quelli del treno (Schivelbusch, 1988; cfr anche L. Fattori, 2019), ridefinendo la nostra esperienza dello spazio e del tempo in termini individualizzati, estremamente moderni. Un medium, insomma, simbolo del capitalismo, della sua forza, della sua seduzione – e dell’asservimento alla catena di montaggio e alla merce. Ideale oggetto da mostrare nelle Esposizioni universali, i luoghi dove si svolgono le prove generali dell’avvento delle comunicazioni di massa, come notano anche Attimonelli e Susca (pp. 271-275).
L’automobile, la potente icona delle mitologie di massa del Novecento, è di fatto la protagonista anche nel racconto del 1966 L'assassinio di John Fitzgerald Kennedy visto come una gara automobilistica in discesa (Ballard, 2004), esplicitamente ispirato ad Alfred Jarry, e che Ballard ripropone anche in La mostra delle atrocità, forse il suo capolavoro.
Viene spontaneo cogliere l’omologia [7] con il primo episodio in assoluto di Black Mirror, Messaggio al Primo Ministro, trasmesso in Italia il 10 ottobre 2012, Messaggio al Primo Ministro, in cui viene messa in scena la spettacolarizzazione pubblica dell’umiliazione – una morte simbolica – del Primo Ministro britannico.
Una omologia che copre l’intero romanzo di Ballard e l’intera serie tv.

Il video di Zapruder
In La mostra delle atrocità lo scrittore anglosassone cita ripetutamente Abraham Zapruder, il turista che si trovò per caso a filmare l’assassinio di Kennedy con la sua cinepresa amatoriale. Il suo filmino è diventato un documento storico – e mediale – unico, in cui, nella logica di Ballard si fondono due dei miti tecnologici essenziali del Novecento: la macchina da presa e, appunto, l’automobile. A partire da un dato cruciale: l’intervento dello spettatore nella produzione dello show: il filmino di Zapruder diventa il prototipo di tutti i video realizzati con lo smartphone degli eventi più vari, dalle catastrofi naturali agli incidenti stradali, alle risse da strada – o a fughe senza speranza come nel White Bear (E2S2) di Black Mirror (A. Fattori, 2006, pp. 93-94).
Nel romanzo di Ballard – i cui capitoli seguono quasi l’andamento di una raccolta antologica – seguiamo le azioni, oscillanti fra il comportamento psicotico e la performance artistica d’avanguardia, di un unico protagonista, presentato di volta in volta con un nome diverso, ma che riconosciamo unico, accompagnato dai riflessi o rimandi alle ossessioni di Ballard, uno sfondo fatto di miti del cinema, esperimenti nucleari, incidenti stradali famosi – i segni zodiacali dell’immaginario catastrofico e massmediale del secondo Novecento – come gli episodi di Black Mirror sono gli articoli di un catalogo delle visioni più angoscianti attribuibili a un futuro di integrazione con le tecnologie digitali, una “alba delle tenebre” [8] fatta di soggezione e risentimento nei confronti di una scienza di cui vediamo solo gli output, le applicazioni tecnologiche che usiamo, non certo la dimensione speculativa e di ricerca, e che appare sempre più “reincantata”, e fonte di “angosce escatologiche” (Camorrino, 2019; Fattori 2020).
In Black Mirror, come nei romanzi di James G. Ballard, incontriamo individui sconnessi, incerti, disorientati, in cui il senso di identità individuale nato con l’Umanesimo si è disgregato, sbriciolato: il tentativo di “salvataggio del Sé” (Berger, 1992) operato da Robert Musil attraverso Ulrich Anders, il protagonista dell’Uomo senza qualità (1962), ambientato in quella distopia da operetta che è la sua Cacania, può dirsi fallito.
Charlie Brooker ha aggiornato le “mappe dell’inferno” che un suo connazionale, Kingsley Amis, aveva cartografato nel 1962 nel suo saggio sulla science fiction. Forse – ma ancora per poco – siamo dentro l’immaginario fantascientifico, ma, come scrisse William Burroughs, “La fantascienza ha la cattiva abitudine di avverarsi” (1994), e, come aggiunge Ursula Le Guin, “… la verità è una questione di immaginazione” (1971)

Note

  • [1] Attimonelli e Susca sono già intervenuti sul tema in un bel volume collettaneo, curato da Mario Tirino e Antonio Tramontana (2018).
  • [2] È anche superfluo che ricordi qui come in origine per “mezzi di comunicazione” si intendevano i mezzi di trasporto di cose e persone – come l’automobile; solo in seguito, all’inizio del Novecento, il termine ha assunto il senso che gli diamo oggi correntemente.
  • [3] Uno degli autori più fertili per la serie fondativa della science fiction in televisione, The Twilight Zone (Serling, 1959-1960), Ai confini della realtà in Italia (1960-1972).
  • [4] Nel 1951 il televisore già “abitava” le case di sette milioni di famiglie americane.
  • [5] Scrutare nel buio (1979) è il titolo con cui uscì la prima edizione del romanzo di Dick, A Scanner Darkly.
  • [6] Da cui David Cronenberg trarrà una straordinaria pellicola (Crash, 1996), ideale complemento, per me, del precedente Videodrome.
  • [7] Ispirandomi, come Attimonelli e Susca (p. 199) alla definizione che propone Ferruccio Rossi-Landi (1985).
  • [8] Fritz Leiber, L’alba delle tenebre (1978). Dello stesso autore, ma sul tema della spersonalizzazione, Scacco al tempo (1986), pubblicato nel 1950, lo stesso anno della pubblicazione del classico di David Riesman, La folla solitaria (1973), a riprova della capacità della science fiction di cogliere immediatamente le tendenze e le prospettive del mutamento sociale – in questo caso gli esiti paradossali dell’individualizzazione, come approdo della dialettica, tutta novecentesca, fra i due poli della modernizzazione: individuo e massa.

Bibliografia

  • K. Amis, Nuove mappe dell’inferno, Bompiani, Milano, 1962.
  • C. Attimonelli, V. Susca, Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale, Mimesis, Milano – Udine, 2020.
  • J. G. Ballard, La mostra delle atrocità, Rizzoli, Milano, 1991 (1969, 1990).
  • J. G. Ballard, Crash, Rizzoli, Milano, 1990 (1973).
  • J. G. Ballard, Terapia intensiva, in Id., Tutti i racconti 1969-1992, Fanucci, Roma, 2004 (1951).
  • P. Berger, Robert Musil e il salvataggio del sé, Rubettino, Soveria Mannelli, 1992 (1984).
  • W. Burroughs, È arrivato Ah Pook!, Sugar, Milano, 1994 (1974)
  • A. Camorrino, La notte dell’umanesimo. L’immagine dell’uomo nella società contemporanea, in “Im@go” 12/2018, febbraio 2019, http://cab.unime.it/journals/index.php/IMAGO/article/view/2063 (23/03/2020).
  • L. De Feo, Il raggio verde: una metafora del confine. Riflessioni erratiche e interpretazioni sociologiche, Mimesis, Milano – Udine, 2017. 
  • M. De Feo, Storytelling e realtà aumentata, Accademia di Belle Arti, Napoli, 5 dicembre 2019.
  • P. K. Dick, Scrutare nel buio, Nord, Milano, 1979 (1977). 
  • P. K. Dick, Un oscuro scrutare, Fanucci, Roma, 2004 (1977).
  • A. Fattori, Materia dei sogni. Elementi di sceneggiatura per le scienze sociali, Ipermedium, S. Maria C. Vetere, 2006.
  • A. Fattori, Sparire a se stessi. Interrogazioni sull’identità contemporanea, Ipermedium, S. Maria C. Vetere, 2013.
  • A. Fattori, Sorgete, tenebre! La circostanza postumana. Complotti “metafisici” e paure contemporanee, in M. Orsi, R. Paura (a cura di), Between Science & Society vol. 1 - Scienza e società verso il 2030, Italian Institute for the Future, Napoli, 2020 (in corso di pubblicazione).
  • L. Fattori, Panormaicità; relazioni mediali fra cinema e ferrovia, Relazione presentata al Convegno “Gli indistinti confini. Transmedialità nei processi culturali e comunicativi e transdisciplinarietà nelle discipline sociologiche”, Pic-AIS, Bologna, Palazzo Ercolani, 13/14 giugno 2019.
  • M. Fisher, Realismo capitalista, Nero, Roma, 2018 (2008).
  • D. Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, 2002 (1990).
  • F. Jameson, Postmodernismo Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Fazi, Roma 2007 (1991).
  • F. Leiber, L’alba delle tenebre, Nord, Milano, 1978 (1950).
  • F. Leiber, Scacco al tempo, Mondadori, Milano, 1986 (1950).
  • U. Le Guin, la mano sinistra delle tenebre, Nord, Milano, 1971 (1969).
  • R. Matheson, Su dai canali, in C. Fruttero e F. Lucentini (a cura di), Il secondo libro della fantascienza, Einaudi, Torino, 1961. 
  • R. Musil, L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino, 1962 (1930-1933-1943).
  • G. Pecchinenda, L’Essere e l’Io. Fenomenologia, esistenzialisno e neuroscienze sociali, Meltemi, Milano, 2018.
  • D. Riesman, La folla solitaria, il Mulino, Bologna, 1973 (1950).
  • F. Rossi-Landi (1985), Metodica filosofica e scienza dei segni, Milano, Bompiani, 2006.
  • W. Schivelbusch, Storia dei viaggi in ferrovia, Einaudi, Torino, 1988 (1977).
  • M. Tirino, A. Tramontana (a cura di), I riflessi di Black Mirror. Glossario su immaginari, culture e media della società digitale, Rogas, Roma, 2018.

Videografia

  • C. Brooker, Black Mirror, Uk, 2011-. 
  • D. Cronenberg, Videodrome, Usa, 1983.
  • D. Cronenberg, Crash, 1996, Canada/Usa.
  • R. Scott, Blade Runner, Usa, 1982.
  • R. Serling, Ai confini della realtà, Usa, 1960-1972 (1959-1960).
  • A. & L. Wachowski, Matrix, Usa, 1999.
  • P. Weir, The Truman Show, Usa, 1998.