Chi è Tiresia

Nel suo prezioso, piccolo saggio sull’indovino Tiresia, Tiresia ovvero la nostra conoscenza degli eventi futuri, Alfred Schutz, l’ispiratore della sociologia di approccio fenomenologico, si chiede se il veggente cieco della mitologia greca viva o meno nel presente. E si risponde: “Tiresia, incapace di vedere il suo ambiente reale, visualizza un mondo in cui non vive e non ha mai vissuto”. Quello che per noi è il futuro. Ne vede frammenti, isole staccate cui non può dare senso – cosa che spetterebbe a coloro che lo interrogano.

Peter Berger, nel saggio che dedica al capolavoro di Robert Musil, Robert Musil e il salvataggio del sé, scrive “I grandi scrittori possono non essere bravi nell’offrire teorie e spiegazioni, ma se non altro sanno vedere” – e sicuramente si riferiva prima di tutto al grande scrittore austriaco.
E siamo sempre nell’ambito, metaforico o letterale, della visione.

Gli studiosi di scienze sociali e umane sono “per statuto” chiamati a vedere e almeno descrivere – se non spiegare – le cose del mondo sociale, il mutamento sociale.

Operazione complessa, specie oggi, epoca in cui i fenomeni sociali sembrano procedere così velocemente da non lasciare neanche il tempo dell’osservazione e della riflessione su una certa configurazione che questa cambia sotto gli occhi, come nell’accelerazione di una pellicola impazzita, in cui presente e futuro si mescolanoe  confondo continuamente.

Noi ricercatori sociali dovremmo essere capaci di vedere nel futuro (almeno immediato) come Tiresia, e di descrivere (“la descrizione è un atto della vista, scrive Berger) come “i grandi scrittori”, e i grandi artisti in generale, il mutamento mentre avviene.

Possiamo provare a farlo, ricordando come Charles Wright Mills ragionava su biografia e storia, “… l’individuo può comprendere la propria esperienza e valutare il proprio destino soltanto collocandosi dentro la propria epoca”, consapevoli del fatto che i grandi artisti hanno il dono della sintesi e dell’anticipazione, e sanno stare “dentro la propria epoca” per poi estraniarsene e descriverla. 
Analizzando quindi  i prodotti culturali – immagini, romanzi, pellicole, musica – e estraendone le visioni della realtà – di questa realtà – che riflettono.

Estraniarsi e osservare vale per lo spazio, anche interiore,  come per il tempo: guardare le cose “dall’esterno” può significare guardarle da un punto appena spostato nel futuro.

Ancora Musil: di lui Massimo Cacciari – creando la figura dell'uomo postumo – in Dallo Steinhof scriveva: “Anch’essi «praticano» la società... Ma insiemefanno i fantasmi. […] Non avendo un Fondamento, egli viene compreso peggio degli altri… però viene ascoltato meglio […] il fantasma dell’uomo postumo costringe quasi all’ascolto, fa riscoprire la dimensione dell’ascoltare. La sua «autorità» non è che questo solitario, muto invito all’ascolto”. Vedere, e farsi ascoltare: l’artista, l’«uomo postumo», colui che guarda le cose ora, come se le vedesse dal dopo.

Il legame. Già intuito da Max Weber fra artisti e scienziati ne Il lavoro intellettuale come professione: “Ambedue sono esaltazione (nel senso della «mania» di Platone) e «ispirazione», quando ci si decide a seguire – è sempre Weber che scrive – il demone che tiene i fili della (propria) vita”.

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