Peter Berger, nel saggio che dedica al capolavoro di Robert Musil, Robert Musil e il salvataggio del sé, scrive “I grandi scrittori possono non essere bravi nell’offrire teorie e spiegazioni, ma se non altro sanno vedere” – e sicuramente si riferiva prima di tutto al grande scrittore austriaco.
E siamo sempre nell’ambito, metaforico o letterale, della visione.
Gli studiosi di scienze sociali e umane sono “per statuto” chiamati a vedere e almeno descrivere – se non spiegare – le cose del mondo sociale, il mutamento sociale.
Operazione complessa, specie oggi, epoca in cui i fenomeni sociali sembrano procedere così velocemente da non lasciare neanche il tempo dell’osservazione e della riflessione su una certa configurazione che questa cambia sotto gli occhi, come nell’accelerazione di una pellicola impazzita, in cui presente e futuro si mescolanoe confondo continuamente.
Noi ricercatori sociali dovremmo essere capaci di vedere nel futuro (almeno immediato) come Tiresia, e di descrivere (“la descrizione è un atto della vista, scrive Berger) come “i grandi scrittori”, e i grandi artisti in generale, il mutamento mentre avviene.
Possiamo provare a farlo, ricordando come Charles Wright Mills ragionava su biografia e storia, “… l’individuo può comprendere la propria esperienza e valutare il proprio destino soltanto collocandosi dentro la propria epoca”, consapevoli del fatto che i grandi artisti hanno il dono della sintesi e dell’anticipazione, e sanno stare “dentro la propria epoca” per poi estraniarsene e descriverla.
Analizzando quindi i prodotti culturali – immagini, romanzi, pellicole, musica – e estraendone le visioni della realtà – di questa realtà – che riflettono.
Estraniarsi e osservare vale per lo spazio, anche interiore, come per il tempo: guardare le cose “dall’esterno” può significare guardarle da un punto appena spostato nel futuro.
Ancora Musil: di lui Massimo Cacciari – creando la figura dell'uomo postumo – in Dallo Steinhof scriveva: “Anch’essi «praticano» la società... Ma insieme… fanno i fantasmi. […] Non avendo un Fondamento, egli viene compreso peggio degli altri… però viene ascoltato meglio […] il fantasma dell’uomo postumo costringe quasi all’ascolto, fa riscoprire la dimensione dell’ascoltare. La sua «autorità» non è che questo solitario, muto invito all’ascolto”. Vedere, e farsi ascoltare: l’artista, l’«uomo postumo», colui che guarda le cose ora, come se le vedesse dal dopo.
Il legame. Già intuito da Max Weber fra artisti e scienziati ne Il lavoro intellettuale come professione: “Ambedue sono esaltazione (nel senso della «mania» di Platone) e «ispirazione», quando ci si decide a seguire – è sempre Weber che scrive – il demone che tiene i fili della (propria) vita”.
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